Immagine sul doppio

Il fotografo e la bambina - Recensione

Il fotografo e la bambina

Edoarda Masi

Questo di Dario Lanzardo, appena uscito, è per vari motivi un libro singolare. Sarebbe già difficile definire in una parola l’autore: fotografo senza dubbio, non solo perché a quest’arte ha dedicato (e continua a dedicare) la maggior parte della vita, ma anche perché è un fotografo eccellente. E nella fotografia riversa tutti i non facilmente definibili aspetti della sua personalità. Che potremmo dire essenzialmente di artista – ma dove non sapresti tracciare i confini fra arte e vita. Quasi che le vicende della fanciullezza, quelle giovanili di marinaio, di militante rivoluzionario, e infine di adulto “umanista” (non so trovare un altro aggettivo) apparissero a lui stesso e a chi lo ascolta inscindibili dalla visione imposta da una vivacissima immaginazione.

Questo libro rientra nella sfera dove si incontrano saggistica e narrazione. Sfera in Europa ormai vastissima, da quando nel primo Novecento sono cessate nel nostro continente le condizioni che avevano fissato nella prosa modelli certi di genere (almeno in teoria); anche se si è continuato, per esempio, a chiamare col nome di romanzo testi ormai lontani da quel modello.

Ma qui non si tratta neppure di romanzo-saggio, o racconti-saggio: piuttosto, una persona viva ci viene incontro e in forma diretta, in modo apparentemente ingenuo, ci parla della sua opera (lefotografie) e di se stesso.

Tutti i testi qui raccolti hanno per soggetto una fotografia, o una serie di fotografie. Il rapporto fra le immagini e la narrazione è vario: l’attenzione è rivolta ora specificamente alla foto, ora alle persone coinvolte, ai luoghi, alla storia personale dell’autore, a vicende collegate indirettamente. Ne risulta un paesaggio fantastico – benché la qualità dei diversi capitoli sia disuguale.

“Scrive e fotografa” –osserva nella prefazione Goffredo Fofi – “usa le parole e usa l’immagine... sembra partire dalla convinzione che il punto d’incontro sia rintracciabile... scopo dello scrittore-fotografo [è] l’azzardo, il tentativo, la scommessa, la sfida. La ricerca...”

A volte il risultato letterario è eccellente, come nel testo iniziale Il fotografo e la bambina, o La cassette di Ilde. Uno straordinario incontro fra l’uomo e la città in La città dei quattro fiumi: il girovagare fra città e dintorni offre un’immagine così affascinante di Torino – città bellissima ma spesso percepita come estranea, quasi estera, da molti italiani – da indurre immediatamente alla riflessione su questa meraviglia che è l’Italia delle città (Torino come Napoli), una ricchezza che non si vorrebbe distrutta.

Un eccesso, a volte, di psicologismo si perdona per lo spontaneo sentimento di affetto per luoghi cose e uomini, che è pure una sorta di desiderio di identificazione. L’autore è presente come persona, ci racconta dei suoi guai incertezze problemi debolezze, si accusa e si difende. Lo stesso vale per quelli che incontra e fotografa, e per gli altri interlocutori, fra i quali noi che leggiamo – in una sfera dove“l’anima fanciulla” si coniuga con una contestazione di quanto è istituzionale talmente estremo da non richiedere d’esser dichiarato. La sfera di libertà fantastica che si manifesta nel fotografare si intreccia alla condizione comune a molti di noi oggi, immensa “classe media” con i suoi limiti e i coraggi e le paure, l‘anticonformismo e il conformismo. Con quel pizzico di follia anarchica che è da più di un secolo il sale della protesta popolare in Italia – quello che consente anche ai più presuntuosi di condividere senza presunzione la miseria dei più alienati.

Anche Immagini di una rivoluzione, che sarebbe da giudicare inadeguato come reportage sul Portogallo 1974, acquista senso nelle immagini di luoghi e storia di persone (non sai più se dei fatti loro privati o pubblici) – storia “piccola” dove si legge la verità della grande storia.


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