Il fotografo e la bambina - Recensione
Luca Lenzini su Il Ponte n.9 settembre 2010
SCRITTURE DI LANZARDO
Il sottotitolo Saggio sulla fotografia, che l’editore italiano ha aggiunto all’originale di Geoff Dyer (The Ongoing Moment, semplicemente), è forse un po’ fuorviante e troppo impettito per un lavoro eccentrico, difficile da situare in un genere preciso. Anzi è nello sconfinamento tra narrativa e saggistica (e storia della cultura) che L’infinito istante - anche la traduzione del titolo, a esser pedanti, non è del tutto convincente - trova i suoi precedenti, a cominciare da Barthes (La chambre claire, 1980), ma senza dimenticare Benjamin e Sontag. Nell’estroversa incursione in quel territorio ibrido i cui antecedenti novecenteschi sono nobilissimi, da Proust a Musil, Dyer gioca le sue carte migliori, rielaborando in chiave “pop”, e senza alcuna prosopopea accademica o scientificizzante, suggerimenti e suggestioni provenienti dall’esperienza dei fotografi. Uno di questi spunti è relegato in nota, a margine del flusso rapsodico della scrittura alle prese con le immagini: «Le foto esistono in virtù di questi rari momenti in cui la promessa, come un incontro in attesa di verificarsi, viene mantenuta, in cui l’estraneo intravisto ti chiama come il destino».
Il passaggio si legge a proposito di Dorothea Lange, ma vale per Weston e gli altri il cui percorso artistico e biografico Dyer insegue per molte pagine. Promessa, incontro, destino: questa triade che sembra evocare il nome di Baudelaire, a me ha fatto pensare ad un bel libro di Dario Lanzardo, pubblicato da Instar Libri nel 2008: Il fotografo e la bambina. Questo non è un romanzo e neanche un saggio, bensì un insieme di testi imperniati su alcune fotografie dell’autore; racconti di un fotografo che non vuole avanzare teorie estetiche o tesi sociologiche, ma indagare moventi, tracce e storie che coagulano in una data immagine in un dato tempo. Chi scrive, insomma, non possiede verità da spiegare con interpretazioni “autentiche”: ci offre, invece, i percorsi della propria ricerca, che ogni volta mobilita più di un mondo (il proprio, quello delle persone e degli ambienti convocati nei testi): la postina della Val di Vara, il «soldato morto di paura», Masha, Isabella, Sara (soggetti di intensi ritratti), ma anche Torino ed i suoi «quattro fiumi», il Portogallo e la sua rivoluzione.
Nella prefazione al libro Goffredo Fofi osservava giustamente che «l’originalità del cammino intrapreso da Lanzardo sta proprio nella valorizzazione della parola come racconto di una ricerca, e dell’immagine come suo fulcro, ma anche sua confutazione» (p. XI): le verità che i testi porgono, si potrebbe anche dire, non si aggiungono infatti alle fotografie, ma fanno parte, con esse, dell’avventura storica ed esistenziale i cui frammenti, con quel tanto di enigmatico che persiste nell’immagine più “oggettiva”, si depositano nel libro. E dire “avventura” significa in questo caso che la ricerca, in quanto sede mutevole dell’esperienza, non dimentica le proprie origini, ed esige anzi un ritornare, non perché voglia custodirne e immobilizzarne il significato, ma perché si tratta di ritrovare l’apertura, la fascinazione che il mondo esercita in certi momenti fondativi, carichi di “destino”. Eccone uno che affiora dalle pagine dedicate al Portogallo, in cui l’inizio del viaggio s’illumina nello scenario intravisto di un ritorno: «… Il viaggio non poteva incominciare meglio. Immaginavo un luogo che mi avrebbe portato indietro nel tempo di vent’anni: fra le barche della mia città, nell’incanto dei pescatori che tiravano a riva le reti a strascico all’ombra delle palme della passeggiata Morin, accanto ai ragazzini con le loro lenze innocenti.» (p. 163)
Di qui l’importanza, in Lanzardo, del motivo dell’infanzia («Nulla potrà eguagliarne l’intensità. Ha ragione Stendhal, l’infanzia è interminabile»: in epigrafe al libro è questa frase di Marguerite Duras), che si riflette con particolare efficacia nei testi – scritti e immagini – i cui protagonisti sono bambini: l’incontro con l’estraneo si fa allora riconoscimento, e questo serba l’eco della promessa, fragile e infinita, di un tempo in divenire, ancora saturo di possibile (di tutti i possibili, nessuno escluso). D’altro canto, lo sguardo dell’autore si rivolge nella ricerca non a luoghi eletti a dimore della bellezza o a monumenti della storia “ufficiale”, ma a quelli la cui memoria è ricca di una dimensione sociale e collettiva, e perciò stratificata, anche nascosta, segnata dal dolore e dalla sofferenza: sono i barlumi del passato recuperato nel Soldato morto di paura, nella Cassetta di Ilde, che rinviano con sobrietà alla muta epopea dei senza storia, al lavoro ed allo sfruttamento.
Per come si manifestano e intervengono sul piano culturale, la ricerca e le “scritture di luce” di Lanzardo sembrano voler mantenere un rapporto con il mestiere dell’artigiano, come se ne mutuassero il tempo lungo e l’abitudine alla concisione, ed in questo contraddicono tutto il nostro mondo di immagini abbaglianti, onnipresenti, rumorose, che tanto più esibiscono il marchio dell’Arte e della Tecnica, tanto più si riducono a ciechi strumenti e a merci inutili e presuntuose. I racconti condividono, dal loro versante, questa disposizione antiretorica e artigianale, attenta alla pluralità di mondi che convivono nel presente, a farne esperienza non solitaria ma condivisa e trasmissibile. Così, alla fine, nel libro si può scorgere l’indizio concreto di quanto si augurava John Berger in Sul guardare: cioè che la fotografia sia l’annuncio di una «memoria sociale e politica» avvenire, che invece di essere usata «come un sostituto che ne incoraggia l’atrofia» porga il suo patrimonio di scatti al servizio di quanto nel mondo è diretto verso una umanità diversa. Di questo auspicio dal sapore utopico Il fotografo e la bambina si fa a suo modo interprete tenace, anche là dove in apparenza si addentra in storie private e in «immagini latenti», e non è l’ultimo dono che ci consegna.
G. Dyer, L’infinito istante. Saggio sulla fotografia, Torino, Einaudi, 2007; ed. orig. The Ongoing Moment, Random House, 2005.
Ivi, p.90.
D. Lanzardo, Il fotografo e la bambina, prefazione di G.Fofi, Torino, Instar Libri, 2008.
J.Berger, Sul guardare, Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 64.