L’ombra della Gulfstream - Recensione
Consolata Lanza per LN Libri Nuovi
Un vecchio marinaio affida i suoi ricordi a uno scrittore che li raccoglie e li trasforma in romanzo. Questa a grandi linee la trama del libro in cui Dario Lanzardo torna a parlare di mare come nella sua prima opera narrativa, Il principio di Archimede. La Gulfstream del titolo è “un cargo adibito al trasporto di carichi misti”, una vecchia nave piuttosto malconcia su cui Tullio Bertani, uomo di mare sognatore e amante degli animali, si imbarca in uno dei suoi primi viaggi come ingrassatore, e che “più di altre ne occupava la memoria”. Proprio sulla Gulfstream Tullio incontra alcuni personaggi che torneranno sia in carne e ossa che come ricordi, quasi fantasmi, a occupare la sua mente a più riprese: Gandi il vecchio macchinista, i portoghesi Joao e Pinto, e soprattutto Beppe Mereu, il fuochista sardo che diventerà, sia pure alla maniera dei marinai che non sanno mai dove li porterà il prossimo imbarco, suo amico. Sulla nave succede qualcosa di strano, Tullio se accorge quasi subito ma non riesce a dipanare la matassa neppure anni dopo, quando Beppe gli rivelerà parte dei retroscena, perché troppa è l’ambiguità dei personaggi coinvolti. Dietro vi è un oscuro traffico di armi, ma chi lo controlla? Gli amici di quelli che combattono per la libertà e l’indipendenza o le forze occulte di qualche potenza finanziaria? In fondo non è questo che conta, perché sulla trama, peraltro più raccontata che rappresentata, si innestano momenti visionari, alcuni dei quali con un retrogusto biblico, che costituiscono a mio parere il fascino maggiore del libro. Non è facile dimenticare l’epidemia di follia che prende l’equipaggio della Brumwark nel Golfo Persico, spingendo al suicidio un marinaio dietro l’altro, l’invasione delle cavallette che ricoprono la nave ostruendo gli oblò dai quali sembrano spiare la vita degli umani assediati, l’apparizione magica di un’aquila reale in pieno oceano, il salvataggio della culla galleggiante dopo una terribile frana che trascina in mare mezza montagna, l’incontro allucinato con la prostituta nera che forse è, forse non è, la bella Dolores già conosciuta nei racconti nostalgici dei colleghi durante le lunghe navigazioni. Come se Dario Lanzardo covasse dietro la concreta, precisa conoscenza degli aspetti tecnici della navigazione e soprattutto dei grandi motori che nuovono i bastimenti, un desiderio di allargare i confini della realtà e della verosimiglianza alla fantasia, alla leggenda, abbandonandosi alla capacità di inventare favole e miti in cui i marinai sono sempre stati maestri. E alla fine, di questo libro che procede sempre sul filo sottile che divide il romanzo dalla raccolta di memorie episodiche, quello che rimane è l’immagine della grande aquila con le ali larghe tre metri che si allontana maestosa verso la terraferma, mentre Tullio il marinaio la contempla “colmo di timoroso stupore”.