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L’ombra della Gulfstream - Recensione

L’ombra della Gulfstream

Giorgio Bertone sul Secolo XIX del 10 agosto 2010

“ANDARE alla deriva”, “naufragare”, eccetera. L’uomo vive sulla terra, ma esprime più spesso il significato dell’esistenza con metafore marine. Quasi che il mare, tanto amato, odiato ed evitato, fosse lo specchio in cui nei secoli si rifletta meglio il movimento dell’azione umana. Così i racconti di mare, da Omero in poi, hanno finito per comporre una collana di miti, simboli, emblemi, primo fra tutti quello di Ulisse, che riassumono non solo vicende esistenziali. Ecco che in piena estate ci arriva dall’estremo levante ligure un romanzo che già nel titolo sembra ammiccare alla letteratura di mare passata con inquietudini moderne: Dario Lanzardo, “L’ombra della Gulfstream” (Effigie, 144 pagine, 12 euro). “La nave che più di altre occupava la memoria di Tullio Bertani era un cargo adibito al trasporto di carichi misti acquistati da una società inglese agli inizi degli anni Cinquanta”. Così inizia nel segno della memoria e di una nave mercantile, dove il Bertani della Spezia è imbarcato come motorista. Poi c’è il fuochista, il sardo Beppe Mereu, e tutti gli altri, il capitano inglese, il primo ufficiale, il nostromo. Rotta da Genova a Marsiglia. E poi altre rotte che incrociano altre navi, misteri, ricordi, capitani sospetti, taverne e bordelli pieni di insidie all’imbocco del Canale di Panama. Fino a quando non sbarca, Tullio trova nella Gulfstream un piccolo minaccioso e avvincente universo in cui cominciare a comprendere lo spirito delle cose e la psicologia degli uomini. Grazie all’amico Beppe, colto e curioso. Una delle ipotesi è proprio sua: che la Gulfstream trasporti clandestinamente armi leggere per le formazioni indipendentiste del Ghana.

Ma non è al giallo e al noir che inclina Lanzardo. Nelle sue pagine c’è molto Conrad, certo, ma senza il senso drammatico dell’etica del mestiere marinaro. C’è Biamonti, quello di “Vento largo”, ma senza il lirismo paesaggistico dello scrittore all’altro capo della Liguria. Lanzardo rimane sospeso tra esigenza di avventura e ripiegamento riflessivo. Sospeso tra mare aperto e costa, tra la dispersione negli eventi caotici della vita e raccoglimento nella nicchia dove forse tutto torna, alla memoria e alla mente. Del resto il suo Tullio è un uomo che ha imparato il mestiere dai marinai nostrani, quelli di piccolo cabotaggio. E Lanzardo, fotografo e saggista degli anni ’50, ’60 e oltre con inchieste sulle lotte operaie, ha circumnavigato tutte le terre del secondo ’900.

Chiaro che adesso il suo romanzo, apparentemente fisso solo alla memoria dei suoi personaggi e delicatissimo nel ritesserla, non è solo il ritratto di un marinaio che chiude una parabola dedicandosi ai modellini di navi. È anche un modo di ricominciare, di ricapitolare i fili che il presente si ritrova in mano. Il mare concede anche questa possibilità: ripensare sulla sua pagina un destino da zero.


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