Immagine sul doppio

Il Principio di Archimede - Recensione

Il Principio di Archimede

Bruno Quaranta su TUTTO LIBRI (La Stampa) del 15 aprile 2006

UN “INGENUO” SUL CARGO VERSO BALTIMORA

Il mare, la fotografia, il giornalismo, le passioni di sempre romanzescamente trasfigurate. Dario Lanzardo in viaggio da Genova a Baltimora regge lo specchio di una vita non anonima, non ovvia, spalancata all’avventura, a cominciare dalle radici, dalla terra ferma a cui fare ritorno. Perché “l’avventura è a terra dove è sempre più difficile districarsi”.

La sentenza del secondo di macchina annuncia (forse vorrebbe annunciare) una storia simenoniana, una tenebrosa verità destinata a rifulgere. Ma Dario Lanzardo - il suo alter ego - non osa “avventurarsi” (a proposito) sino oltre la soglia, là dove è la soluzione, gli basterà intuire il corso funesto, colpevolmente funesto, delle cose. “Almeno in un punto si era aperto uno spiraglio”, quasi si compiace, avanti di tornare a casa con il padre sotto braccio. La maturità è anche questo: affrettarsi lentamente verso la meta, rifuggendo le infine sterili, cieche scorciatoie.

Spezzino (è nato nel 1934), chissà in quali rapporti fu con l’indigeno Gian Carlo Fusco, Dario Lanzardo, solcando l’oceano, coltiva la malia di Fosdinovo, paese che ha nelle vene, fra i luoghi toccati da Dante quarantenne sulla mula degli amici Malaspina. Un episodio della guerra inesorabilmente lo scorta. Si celebrava la festa di San Remigio. Tre ragazzi, raggiunto il “camposanto vecchio”, assistettero alla lotta fra un uomo e una donna, lei avvinghiata a lui, lui che riesce a divincolarsi: “L’enigma di quelle mani. Nessuno di noi distinse chiaramente se l’uomo voleva solo afferrarle o cercasse di staccarle per farla precipitare”.

A bordo del mercantile, una nave Liberty che miracolosamente galleggia (senza scrupoli sono il comandante, il direttore di macchina, l’armatore, “nostalgici del passato regime”), il nuovo allievo di macchina sale ventenne. E’ la sorte di chi si è formato sui banchi dell’Istituto nautico, magari non appassionatamente, tali le letterarie velleità che manifesta, livre de chevet Il Castello

Kafkiano. Surrogate (o circumnavigate, in attesa di soddisfarle) praticando il giornalismo, anche al largo: non a caso un equipaggio restio (impermeabile) al fuori-campo ulteriormente lo relegheranno nell’angolo.

L’incidente a Ceuta, nel Marocco spagnolo, la Spagna di Franco (la caserma nell’obbiettivo della Leica) aggraverà in particolare i rapporti fra il giovane e il comandante, una figura, il comandante, che il giovane, nodo dopo nodo, scopre familiare, accostandolo, di indizio in indizio, alla figura spiata nel “vecchio camposanto”.

Quale “maggiore” Romano Bilenchi (la stagione fiorentina del “Nuovo Corriere”, negli Anni Cinquanta), Dario Lanzardo allestisce un “cronachistico” Principio di Archimede eccessivamente esatto, meticoloso, tecnico, raccontando la nave, nominando il “cuore meccanico” del claudicante vecchio cargo.

Ma nitida, (salvifica) è la rappresentazione della tensione morale che lievita ora captando il ricordo di un misterioso naufragio ora onorando uno spartano pranzo di Capodanno. Di qua l’ingenuo custode delle insegne di “giustizia e verità”, di là gli ufficiali cinici, grevi, indifferenti. Una tenzone sul filo di un convincimento vittoriosamente difeso: già cardinale nel Nostromo di Conrad “I compromessi con la coscienza sono peggiori dell’insuccesso”.


<< Torna alla scheda del libro