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Il Principio di Archimede - Recensione

Il Principio di Archimede

Giovanni Tesio su Torino Sette - La Stampa 23/6/06

La verità viaggia in cargo.

Lanzardo racconta la storia di un mozzo un capitano e una traversata atlantica.

Ci sono gli ingredienti del mistero e del mare nell’esordio narrativo di Dario Lanzardo, “Il principio di Archimede”, pubblicato da Effigie edizioni (pp. 132, euro 14). Spezzino di origine e torinese di residenza e di elezione, Lanzardo è ben noto come saggista e più ancora come fotografo. Ma a spingerlo verso la narrativa deve essere stato un’urgenza autobiografica, un forte impulso a raccontare qualcosa di piantato nella memoria come una spina nel cuore. Di fatto nel romanzo c’è un io narratore che sembra assai prossimo, nonostante tutti i mascheramenti del caso, all’io dell’autore. Un io che s’imbarca come allievo di macchina su un cargo scassato e che compie una traversata atlantica da Genova a Baltimora.

L’allievo di macchina è politicamente schierato, è un po’ confusionario ma buono, è ingenuo e generoso, ha la passione della fotografia e porta con sé la macchina fotografica del padre, a sua volta marinaro e fotografo, ha curiosità culturali e sociali e nutre illusioni di riscatto che cadono nel vuoto. Scoprendo a poco a poco come la vita di mare sia un’avventura che non si può misurare a colpi di entusiasmo, avverte lo sfruttamento degli armatori e la connivenza dei superiori. Ma è pronto a cercare la solidarietà anche timida di qualcuno che lo comprenda. Si fa strada in lui un malessere che può anche prendere la strada della sofferenza fisica, ma che più spesso si manifesta come disagio interiore. Ed è così che al filo autobiografico s’accompagna il filo di una navigazione fatta di rapporti gerarchici, di legami contrastanti, di dure incombenze, di sfruttamento. Ma anche di competenza e di lavoro fatto bene.

Il filo più misterioso è tuttavia legato alla figura del capitano della nave, il personaggio più sfuggente e riuscito del romanzo. Una specie di ambiguità e di segreto che lo accompagna. Una possibile identità che rinvia ad un fatto rintanato nell’oscura zona di un ricordo infantile custodito dall’io narrante come un enigma. Mai diretta e sempre incombente, è la presenza del capitano a gettare sull’intera storia l’ombra più inquietante, evocando i coni tenebrosi della narrativa conradiana. Non a caso una delle parole-chiave del romanzo è verità. Non a caso la parola verità corre - senza approdo - per l’intero viaggio.


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