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Il Principio di Archimede - Recensione

Il Principio di Archimede

Decio Lucano, 15/2/10

“Una nave immersa nell’acqua del mare riceve una spinta verso l’alto uguale e contraria a quella delle passioni umane che la trascinano verso il fondo” 

Il principio di Archimede è il primo romanzo , edizioni effigie, 2006,euro 14, di Dario Lanzardo . Nato a La Spezia nel 1934, Lanzardo vive insieme alla moglie Liliana, scrittrice, a Torino ed è autore nel corso della sua lunga attività anche di fotografo di molti libri di saggistica socio politica economica  e numerosi volumi fotografici diffusi anche all’estero.

Qualche settimana fa mi ha inviato questo libro  con la prefazione che parafrasa il noto principio da cui prende il titolo ; in copertina <i>a sangue </i>la fotografia ( sua ) di alcune navi alla fonda e in primo piano un palombaro in emersione si appoggia all’imbarcazione ( bianco e nero, suggestiva) , anno 1955,  La Spezia ( in quegli anni c’erano molti bastimenti in disarmo ) e  ho cominciato a leggere .

Ho pensato di presentarlo, ma come ? Scrivendogli una lettera.

Caro Dario, la storia che racconti del tuo primo imbarco dopo il diploma da macchinista navale al Nautico di Spezia è la storia della vita e del lavoro su una Liberty, quelle navi che dovevano durare pochi viaggi, cedute dagli americani ai nostri armatori e che hanno navigato dopo la guerra per decenni.

Tu racconti la tua esperienza nelle macchine con gli uomini di allora , ti confronti  con gli ufficiali e la “ bassa forza “  mettendo in luce le non facili relazioni umane e professionali di un ragazzo appena uscito dalla scuola con in testa i suoi sogni e i suoi ideali .

Potrebbe essere solo un racconto di fatti di bordo ,con episodi e figure della  più classica narrativa di mare, e invece esce dalla  tua memoria in maniera lucidissima come se li fotografassi con la tua fedele Leica una straordinaria descrizione delle macchine del Liberty, che scandisce  il tuo mondo professionale e manuale di allievo ufficiale , e attorno a tutti i meccanismi, con le caldaie della triplice espansione, i protagonisti di quel luogo che Kipling definiva il cuore della nave. Uomini in macchina, uomini sul ponte una convivenza forzata dallo spazio ristretto a bordo avvolta in una umanità cruda e conflittuale ma comune alla gente di mare in quegli anni e anche oggi, nonostante il comfort e la tecnologia di oggi. E tu racconti la tua passione e la tua sofferenza psicologica di ventenne con le tue idee libertarie e non riesci a comprendere come si possano accettare condizioni di vita e di lavoro così precarie come ti è capitato su quel Liberty che non ha mai fatto un po’ di manutenzione e riparazione a differenza di altre “ sorelle  adottate” da armatori veri.

Ti sei inserito in un ambiente dove hai portato la tua esperienza di collaboratore di giornali e fotografo, pensando che avresti fatto qualche servizio nei porti  e già questa tua inclinazione ti rende un soggetto diverso, da espungere dalla piccola comunità di ufficiali, trovando solo nel nostromo , nel carbonaio nell’allievo di coperta  comprensione e disponibilità umane.

Il tuo racconto si spinge in retrospettive avvincenti come l’episodio dell’immersione tra i relitti nel golfo di Spezia , le tue avventure giornalistiche che sfiorano una storia di un delitto avvenuto in un paese limitrofo dove potrebbe essere addirittura coinvolto il tuo comandante.

Il tuo è un narrare conradiano, fatto di introspezioni e di ritratti psicologici , di considerazioni come l’umanesimo che scopri nella tua macchina , che senti viva, cui partecipi con professionalità perché non si guasti qualcosa, all’entropia e alle leggi della termodinamica , calore lavoro, lezione teorica e pratica che hai coltivato a scuola e si affacciano quando ti rifugi nell’officina di bordo a fianco del “ mostro” che i macchinisti tengono eroicamente  in vita.

E’ un romanzo che s’incentra  nel viaggio a Baltimora con tempeste e problemi tecnici, ma c’è un episodio, caro Dario, che ci accomuna . A Ceuta tu scendi e fotografi la caserma dei militari spagnoli per fare un articolo da mandare poi  dall’America e i militari ti fermano perché è vietato riprendere immagini. Poi tutto si risolve ma il comandante te la farà “pagare”. Nel febbraio 1964 ho pubblicato su Il Lavoro nella terza pagina un reportage da Valencia (ero imbarcato su una carrettaccia diretta nel golfo di Guinea) e si è scatenata dopo qualche settimana la stampa spagnola contro Il Lavoro per l’interpretazione dell’articolista secondo loro critica della vita e della democrazia  in Spagna...

Bene, caro Dario, come si dice il libro bisogna leggerlo, ma tu hai dimostrato di ben meritarti un posto di  onore non solo come scrittore, ma tra i “ capitani scrittori “e a maggior ragione per avere ambientato la tua storia nelle macchine di una nave. Una precedente pubblicazione ,2005,è intitolata Davanti ai fuochi (1922-1943),ed.Le Mani, la vita di un capitano di macchina attraverso un periodo  conflittuale  della nostra storia di Emilio Costadura. Ne riparleremo perché manderò una mia News riprendendo questo tema( che non è di settore) nei prossimi giorni. (DL)


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